Food Packaging: colpire l’occhio prima di stuzzicare il palato

Il packaging – o all’italiana “imballaggio”, ma fa meno cool – è un elemento imprescindibile dell’identità visiva di un brand, ormai diventato una vera e propria tendenza che le aziende hanno il dovere di cavalcare nella propria strategia.

Tutto ciò vale ancora di più in un settore come quello del food, già caratterizzato da una certa creatività intrinseca di prodotto che permette anche di alzare l’asticella dell’estro e di sbizzarrirsi con involucri sempre nuovi che rubano l’occhio ai consumatori.

Per te che operi nel food, abbiamo preparato un breve riassunto delle puntate precedenti.

Il packaging: da semplice incarto a value ambassador

C’era una volta (e per i più nostalgici, in alcuni mercati rionali c’è ancora) il pescivendolo che incartava l’orata per la signora Maria con la carta di giornale. Questo era, in origine, il packaging: un contenitore che assolveva alla sola funzione di ricoprire l’alimento per permetterne il trasporto.

Col tempo – e con l’avvento della produzione alimentare in serie e delle certificazioni obbligatorie – questo si è evoluto in un elemento che doveva anche proteggere il prodotto e conservarne il più possibile le sue proprietà organolettiche. Magari stampandoci sopra, oltre all’etichetta, che riportava ingredienti utilizzati e note legali, anche il logo dell’azienda produttrice, bello grande mi raccomando.

Breve digressione: era il 1960 quando Edmund J. McCarthy teorizzò per la prima volta le 4P del marketing mix, rese celebri poi dal marketer per eccellenza Philip Kotler. L’approccio delle 4P (Product, Place, Price, Promotion) fu rivoluzionario per l’epoca, ma dopo qualche anno dalla sua diffusione ai più apparve incompleto. Molti studiosi del campo sostennero con forza l’introduzione di una quinta P, quella relativa, appunto, al Packaging. Lo ritenevano capace di veicolare messaggi, anche molto importanti. Oggi lo chiameremmo touchpoint. Un esempio veloce: negli Stati Uniti d’America, sul cartone del latte, dalla seconda metà del ‘900 e ancora oggi, alla bisogna vengono pubblicati i volti di persone scomparse per darne massima diffusione.

Ecco che l’imballaggio del prodotto compie la sua metamorfosi, squarciando la crisalide (involucro anch’esso) e spiegando le ali verso lo status che, da qualche anno a questa parte, gli viene riconosciuto: quello di value ambassador.

Torniamo alla signora Maria e immaginiamola all’ipermercato, davanti allo scaffale del riso. Una volta, nel suo piccolo alimentare, avrebbe afferrato una busta trasparente, forse informe, sicuramente molto anonima. Oggi, invece, si trova di fronte a una variegato e coloratissimo ventaglio di possibilità di scelta, dove ogni confezione che le si staglia davanti le parla come se avesse voce propria, raccontando i valori del brand, spiegando il processo produttivo, trasmettendo i sorrisi dei dipendenti intenti a inscatolarlo, rimarcando il contributo che l’azienda vuole dare alla salvaguardia del pianeta, e così via.

Ed è in questo momento che il brand inizia a farsi strada nella mente del consumatore. Se ci pensate, per tutte le signore Maria (in fondo, lo siamo anche noi) molte relazioni con i brand sono iniziate proprio maneggiandone un pack. Se vuoi approfondire, abbiamo già parlato dell’importanza del packaging nella strategia di comunicazione integrata.

Tutte le funzioni svolte dal food packaging

Ok, ricapitolando: il packaging, oggi, nel food, è fondamentale. Ma mettendoci alle spalle per un momento la sua avvincente storia evolutiva, quali sono gli obiettivi – dai più funzionali a quelli di marketing – che puoi affidargli? Possiamo raccoglierli in tre famiglie:

  1. Conservare, preservare, trasportare: questo è il primo (e più basico) scopo, quello per cui è nato. Il tuo imballo deve essere studiato per proteggere l’alimento all’interno, affinché la “forma e la sostanza” non si guastino, e per renderne pratico il trasporto al cliente dopo l’acquisto.
  2. Incuriosire, attrarre, colpire: dato che sarà preso in mano dal cliente, il pack rappresenta un’occasione unica (a volte, come detto, la prima) di contatto tra il tuo brand e i sensi del tuo consumatore. Una grafica accattivante e una forma particolare per stimolare la vista, la scelta di alcuni materiali particolari gradevoli al tatto, l’uso di essenze – sì, esistono imballaggi profumati – per rapire l’olfatto. Cominci a percepire la differenza?
  3. Trasmettere, sensibilizzare, emozionare: dopo una prima, vigorosa, stretta di mano con il cliente perché non iniziare un vero e proprio dialogo con lui? Magari raccontando la storia della tua azienda, del suo legame con il territorio di appartenenza, della sua attenzione all’ecologia e alla sostenibilità, delle cause sociali che sostiene. Più i tuoi valori ti accomunano al tuo consumatore, e più si scoprirà vicino a te e dalla tua stessa parte.

Ne ha fatta di strada quel giornale che conteneva l’orata, eh?

Il packaging nell’era del delivery

Una veloce menzione a questo aspetto è doverosa. La pandemia ha generato un vero e proprio boom delle consegne, che nei periodi di lockdown hanno rappresentato l’unico modo in cui i ristoratori potevano vendere i loro prodotti e i consumatori servirsene.

Se tra i tuoi servizi c’è il delivery, sappi che il pack ha una peculiarità in più: deve consentire al cliente di potersi gustare la pietanza direttamente dalla box, un po’ come avviene con lo street food.

Inoltre, con l’intercessione del rider di turno che consegna la merce, il tuo imballo può essere concepito anche per ospitare promozioni, volantini, brochure o qualsiasi altro materiale ritieni utile recapitare al cliente. Non male, no?

Un caso studio di food packaging firmato Hubitat: Pasta Caterina

In Hubitat questo lo ricordiamo come uno dei progetti più stimolanti. L’incontro con il cliente ci ha permesso di scoprire le virtù dietro al prodotto: amore, tradizione e territorialità sono alla base delle lavorazioni che il pastificio svolge ogni giorno, proprio come faceva nonna Caterina la domenica, appunto. L’intenzione poi di far incontrare la tradizione con la modernità, il passato con il presente, anelando di elevare la pasta a uno status quasi sofisticato. E l’idea di mostrarla subito, in tutto il suo splendore, senza veli.

La sintesi di questo insieme di valori è stato un progetto di comunicazione integrata con uno storytelling che ha fatto da trama portante a tutta l’identità visiva del brand, sia online che offline, e nel quale il packaging ha avuto il massimo protagonismo: la trasparenza della busta per stabilire subito un contatto visivo con il prodotto all’interno, l’uso del nero per conferire eleganza, le diciture “essiccazione lenta” e “trafilata al bronzo” che teletrasportano nei luoghi in cui avviene la magia della mietitura del grano e della sua trasformazione in pasta. Puoi approfondire il progetto realizzato per Pasta Caterina qui.

E tu? Hai già un packaging in grado di esprimere tutta l’essenza del tuo brand? O magari stai pensando di realizzarne uno limited edition per il periodo di Natale? Se vuoi raccontarci la tua storia, siamo pronti ad ascoltarla!